Malessere digitale: metà dei giovani sogna un mondo senza Internet

3 Mag 2025 | Educazione, Etica

Nativi digitali in crisi: un recente studio nel Regno Unito lancia un allarme sui livelli di dipendenza da smartphone e sul malessere che ne deriva per i ragazzi. La British Standards Institution (BSI) ha rilevato che quasi 7 giovani su 10 (fascia 16-21 anni) ammettono di sentirsi peggiorati dopo il tempo trascorso sui social. Ancora più sorprendente, quasi la metà dei ragazzi intervistati preferirebbe vivere in un mondo senza Internet, nonostante sia una generazione cresciuta online. Molti invocano addirittura “coprifuoco digitali” serali per arginare l’uso compulsivo di app e social network. Mentre il fenomeno desta preoccupazione oltremanica, anche in Italia emergono tendenze simili: percentuali elevate di giovani manifestano sintomi di dipendenza digitale e disagio psicologico associato all’uso intensivo dello smartphone. Vediamo più da vicino i dati principali e riflettiamo su possibili soluzioni.

L’allarme dal Regno Unito: giovani iperconnessi ma infelici

I risultati dell’indagine BSI mettono in luce una situazione paradossale tra i giovani britannici. Pur essendo iperconnessi, un quarto di loro passa oltre 4 ore al giorno sui social, molti dichiarano di non trarne benessere, anzi. Il 68% afferma di sentirsi peggio con se stesso dopo aver passato del tempo online. Il bombardamento di stimoli digitali e il confronto costante sui social sembrano dunque alimentare insicurezze e insoddisfazione. Non a caso, il 46% dei ragazzi intervistati preferirebbe essere giovane in un mondo senza Internet, un dato sorprendente, dato che nessuno di loro ha conosciuto davvero quell’era “analogica”.

Di fronte a questo malessere, i giovani stessi chiedono aiuto e regole: 1 su 2 sarebbe favorevole a un “coprifuoco digitale” serale che blocchi l’accesso ai social dopo le 22. In pratica, molti riconoscono di non riuscire a darsi limiti da soli e auspicano limiti esterni per disintossicarsi dallo schermo. Il governo britannico sta iniziando a recepire queste istanze: di recente il Ministro per la tecnologia ha ipotizzato interventi normativi per introdurre orari di stop obbligato su app come TikTok e Instagram. Contestualmente, associazioni per la tutela dei minori (come NSPCC) avvertono che il solo coprifuoco non basta se non accompagnato da altre misure: i ragazzi potrebbero comunque esporsi a contenuti nocivi in altri momenti della giornata, quindi occorre rendere più sicure e “meno addictive” le piattaforme digitali frequentate dai giovani.

Un altro dato preoccupante emerso dallo studio BSI è la difficoltà dei genitori di monitorare ciò che i figli fanno online. Molti adolescenti ammettono di nascondere ai genitori le proprie attività sul web: il 42% ha dichiarato di mentire su cosa fa online. Non solo: pur di aggirare divieti d’età o controlli, il 42% dei ragazzi ha mentito sulla propria età reale, il 40% gestisce profili social multipli o falsi, e oltre 1 su 4 (27%) finge online un’identità diversa da quella reale. Queste strategie clandestine rivelano un rapporto conflittuale con il digitale: i giovani sentono l’esigenza di esserci sempre, ma al contempo non vogliono rinunciare a spazi online “segreti” lontani dallo sguardo degli adulti. Il risultato? Comportamenti potenzialmente rischiosi, ad esempio il 27% ha condiviso la propria posizione con estranei, e un circolo vizioso di dipendenza che mina il benessere. Quasi 7 su 10 ritengono infatti che il tempo passato online sia dannoso per la propria salute mentale. In definitiva, dal Regno Unito arriva il quadro di una generazione incapace di gestire autonomamente il proprio rapporto con lo smartphone e i social, al punto da invocare misure drastiche come un ritorno a un mondo “offline” pur di ritrovare serenità.

La situazione in Italia: dati e tendenze preoccupanti

Anche in Italia il rapporto tra giovani e smartphone mostra segnali di allarme. La diffusione degli smartphone tra i giovanissimi è pressoché totale: il 98% degli adolescenti italiani (14-19 anni) possiede un telefono cellulare fin dall’età di ~10 anni, spesso ricevuto in regalo alle scuole elementari. L’utilizzo quotidiano è intenso: la metà dei ragazzi lo usa tra le 3 e le 6 ore al giorno davanti allo schermo, con molti che superano tale soglia. Durante e dopo la pandemia Covid questa iperconnessione si è accentuata, facendo emergere con più forza i rischi di dipendenza da smartphone e i correlati disturbi del benessere giovanile.

Uno studio del 2021 (progetto “Smartphone addiction: vissuto dei giovani e strumenti di contrasto” a cura di Eures) stimava che l’82% dei giovani italiani fosse a rischio dipendenza da smartphone. Si tratta di un problema percepito dagli stessi ragazzi: ben 85% dei giovani riconosce la dipendenza digitale come un “problema generazionale”, definendola per il 44% addirittura “un’emergenza” per la loro generazione. Dati più recenti confermano il disagio: secondo Openpolis, circa 500.000 adolescenti italiani rischiano forme gravi di dipendenza da Internet, e oltre 54.000 rientrano già nella categoria degli “hikikomori” (giovani che si isolano totalmente dalla vita sociale chiudendosi in stanza).

I campanelli d’allarme riguardano anche la salute mentale e sociale dei nostri ragazzi. Un’indagine del 2025 (Osservatorio Generazione Z di Unipol) rivela che il 90% dei giovani manifesta comportamenti problematici legati all’uso eccessivo del telefono. In particolare, l’abuso di smartphone si associa a problemi diffusi quali:

  • Perdita di sonno – il 57% ammette di usare lo smartphone fino a notte fonda, sacrificando ore di riposo.
  • Ansia da notifica – il 50% vive nel timore di “non essere raggiungibile” e controlla ossessivamente messaggi e notifiche.
  • Riduzione della socialità – il 40% preferisce le interazioni online a quelle faccia a faccia, con un impatto negativo sulla vita sociale reale.
  • Calo del rendimento – il 30% riscontra peggioramenti nello studio, nel lavoro o nelle attività quotidiane a causa dell’attenzione dispersa dallo smartphone.

Significativamente, 8 giovani italiani su 10 si definiscono consapevolmente dipendenti dal proprio telefono. Ciononostante, non è facile correre ai ripari: oltre il 50% dei ragazzi non vorrebbe restrizioni o divieti sull’uso dello smartphone, salvo che in situazioni estreme come alla guida (ambito in cui infatti il 73% concorda sul divieto assoluto di usare il cellulare). Questo indica che molti giovani, pur riconoscendo la dipendenza, faticano ad accettare imposizioni esterne sul loro comportamento digitale. In Italia si è comunque iniziato ad affrontare il problema con provvedimenti mirati: ad esempio, è stata rafforzata la proibizione degli smartphone in classe, per evitare distrazioni durante le lezioni e contenere l’abuso tra i banchi di scuola. Ma il fenomeno, per vastità e radicamento nelle abitudini quotidiane, richiede interventi più ampi di natura educativa e culturale.

Verso una soluzione: educazione, regole e benessere digitale

Questa panoramica evidenzia un paradosso generazionale: i nativi digitali, circondati da tecnologie fin dall’infanzia, iniziano a riconoscere i costi psicologici dell’essere sempre connessi. Se in Gran Bretagna metà dei ragazzi arriverebbe a scollegare il mondo pur di stare meglio, in Italia la situazione è altrettanto critica sotto il profilo del disagio, anche se forse meno esplicitata. Come possiamo allora aiutare i giovani a ritrovare equilibrio nel rapporto con lo smartphone?

Una soluzione efficace non può che essere multidisciplinare. Da un lato, serve investire in educazione digitale: scuole e famiglie dovrebbero insegnare fin da presto un uso consapevole e moderato di Internet e dei social, spiegando i rischi della sovraesposizione e fornendo strumenti per gestire lo stress digitale. È cruciale che genitori e adulti diano anche il buon esempio: limitare l’uso del telefono in presenza dei figli (ad esempio niente smartphone a tavola) e stabilire regole chiare in casa sugli orari di utilizzo può incoraggiare abitudini più sane.

Allo stesso tempo, si possono sperimentare “coprifuoco digitali” volontari: ad esempio spegnere dispositivi dopo una certa ora serale per favorire il sonno e la concentrazione, sul modello auspicato dagli stessi ragazzi britannici. Tali limiti, concordati in famiglia o nelle comunità educative, aiutano a disconnettersi quotidianamente e a riscoprire attività offline. In parallelo, va potenziata l’offerta di alternative positive: sport, hobby, occasioni di socialità dal vivo che possano bilanciare la vita online e dare ai giovani gratificazioni reali.

Infine, un ruolo chiave spetta anche alle istituzioni e alle aziende tech. È fondamentale promuovere un ambiente digitale più sicuro per i minori: ciò significa implementare sistemi di verifica dell’età e tutele della privacy sulle piattaforme frequentate dai giovani (misura invocata dal 79% dei ragazzi UK), e ripensare il design delle app social per renderle meno addictive e più orientate al benessere dell’utente. Le big tech, in collaborazione con legislatori e associazioni, potrebbero introdurre funzionalità di limitazione del tempo di utilizzo e strumenti di controllo più efficaci, senza attendere obblighi di legge.

In conclusione, il malessere digitale dei giovani è un segnale da prendere sul serio e affrontare con responsabilità condivisa. La soluzione passa per un patto educativo tra generazioni: aiutare i ragazzi a riappropriarsi della propria vita fuori dallo schermo, senza demonizzare la tecnologia ma imparando a governarla, e non subirla passivamente. Solo così potremo trasformare lo smartphone da potenziale “droga” moderna a semplice strumento, rimettendo al centro il benessere e la crescita sana delle nuove generazioni.

Fonti: British Standards Institution, Corriere della Sera, The Guardian, Eures, Openpolis, Osservatorio Changes Unipol, la Repubblica.


L’Autore
Luigi Resta, esperto di tecnologia e comunicazione, autore del libro “Pensiero Umano, Intelligenza Artificiale”. Da anni mi occupo del rapporto tra uomo e tecnologia, con un’attenzione particolare al valore dell’intelligenza umana nell’era digitale.

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